Gabriella Confalonieri è un’educatrice di lungo corso de La Fanciullezza. In questa intervista ci racconta la sua esperienza prima nelle comunità educative e ora all’asilo nido “Il Gioco del Mondo”
Da quanto fai parte de La Fanciullezza?
«Sono arrivata nel 1988 come educatrice nella comunità educativa dei più piccoli, mi occupavo quindi di bambini dai 3 anni ai 10 anni. Ricordo che quando arrivai ci volle un po’ per entrare in questo mondo, da insegnante elementare infatti ero abituata a tutt’altro rispetto alla vita da educatrice di comunità».
Per quanto tempo hai lavorato all’interno delle comunità educative?
«Ventiquattro anni, nei quali mi sono occupata sempre dei bimbi più piccoli. Poi, nel 2011, la mia Responsabile di allora mi prospettò la possibilità di lavorare all’interno di un servizio che proprio in quel periodo stava per aprire, l’asilo nido “Il Gioco del Mondo”, un progetto nuovo che avrei potuto condividere con l’attuale Responsabile del settore Prima Infanzia, con la quale avevo già collaborato in passato. Ho creduto da subito che fosse perfetto per me e le mie aspettative professionali, quindi ho accettato con entusiasmo di farne parte e dare il mio contributo».
Quali differenze riscontri tra il lavoro di educatrice al nido e nelle comunità educative?
«L’esperienza al nido è completamente diversa da quella all’interno delle comunità, soprattutto in questo asilo dove il dialogo e la relazione con i genitori è parte integrante del lavoro. Essere un’educatrice a “Il Gioco del Mondo” vuol dire essere sincera e accogliente, perché i genitori comprendono chi sei e quanto hai a cuore la loro famiglia e il loro bambino. Creare una relazione con loro vuole dire entrare nella loro quotidianità senza giudicare.
Ad esempio, un giorno può arrivare una mamma trafelata che accompagna suo figlio con il quale ha avuto una piccola discussione perché non voleva vestirsi o fare colazione. La mamma deve scappare in ufficio ma dai suoi occhi si coglie la frustrazione di dover lasciare suo figlio in modo poco sereno. Il mio compito in quel momento è attuare una mediazione affinché la mamma possa andare al lavoro serena e il bambino possa iniziare la sua giornata al nido in modo altrettanto sereno, cosicché quando si riuniranno al pomeriggio o alla sera, al momento del “ricongiungimento”, non vi sia il ricordo delle incomprensioni del mattino».
Il contatto con le famiglie era invece più limitato quando lavoravi all’interno delle comunità educative, non è così?
«Decisamente sì. I genitori che facevano visita ai loro figli nelle Comunità, secondo la regolamentazione prescritta dal Giudice e dai Servizi Sociali, li raggiungevano per un’ora a settimana e il mio ruolo era quello di aiutarli a relazionarsi in maniera positiva, in modo che mamma e papà andassero a casa avendo avuto del tempo privo di contrasti con il figlio e, allo stesso tempo, il bambino vedesse che i genitori non sparivano ma stavano intraprendendo un percorso. In generale, nelle Comunità vivevo la quotidianità dei bambini, occupandomi assieme ai miei colleghi di tutte le sfaccettature della loro vita: dalla loro salute agli impegni scolastici, dal guardaroba alle attività extra scolastiche. All’asilo invece il rapporto quotidiano è quello con il bimbo e la famiglia, un binomio inscindibile, con dinamiche altrettanto complesse e delicate».
In un certo senso ora l’equipe si è allargata: oltre alla responsabile e alle colleghe educatrici, ci sono anche le famiglie e il dialogo quotidiano con loro…
«Sì, è un cammino di crescita del bambino fatto in parallelo nido-casa, soprattutto ascoltando e sostenendo i genitori nei momenti di crisi che ogni famiglia vive perché genitori si diventa non si nasce; è importante quindi mettersi in gioco senza paura, senza il timore di essere giudicati. Penso ad esempio all’ambientamento, momento delicato in cui il bimbo lascia per la prima volta la sua casa ed entra in un contesto altro, quello appunto dell’asilo. Al “Gioco del Mondo” l’ambientamento rappresenta un unicum, un percorso tagliato su misura per ogni bambino e non si ferma al suo benessere ma guarda con attenzione anche a quello dei genitori. Prima di allontanare un genitore io ho l’abitudine di guardarlo e chiedergli: “Tuo figlio è pronto. Tu lo sei? Se tu ti allontani da questa stanza ma non ti senti dentro sereno, da questa stanza non uscire”. Questo, insieme a molte altre attenzioni, agli incontri con i genitori, ai momenti aggregativi, fa la differenza e rende questo asilo un luogo in cui è bello stare e lavorare».
La tua è un’esperienza molto ricca, cosa vuol dire per te essere un’educatrice?
«Credo che educare sia un dare e ricevere, un cammino che non termina e cambia di continuo nel rispetto delle diversità di ogni esperienza, di ogni bambino. E poi tutto questo bagaglio di affetti ti accompagnano nella vita e accrescono la tua sensibilità ed empatia. Io stessa mi sento una persona diversa rispetto a quando, tanti anni fa, sono arrivata in Associazione. Adoro i bambini, interagire con loro e osservarli giocare e cambiare anche fisicamente, da loro ho imparato molto, così come dalle mie colleghe: ora mi sento una persona più aperta, più sicura, che si mette completamente in gioco senza il timore di essere giudicata».